domenica 21 dicembre 2014

Pensieri d'Inverno

Oggi inizia la stagione invernale. Questa poesia è per voi.

Bruciano lentamente

scampoli di fuoco,
piccoli bagliori rossi
tra grigio di cenere.
Non scalda più il camino
avanza il gelo.
Alla finestra
lagrime gelate
non colano,
silenzio nella casa.
E resto lì in poltrona,
sotto la mia coperta
con la mente che viaggia
verso il caldo
e verso il tuo sorriso
che sa d’estate.

21/12/2013 | G. D'Ecclesiis



mercoledì 3 dicembre 2014

Il Bucaneve.

IL BUCANEVE 


Camminava lento il mulo quel mattino, l’occhi lacrimoso per il gelo e Michele imbacuccato nella sua giacca e col cappello calzato sulle orecchie andava a passo svelto maledicendo il freddo di stagione che non voleva passare.
Quella mattina di febbraio il cielo aveva il colore dell’acciaio, appena un ombra di arancio nella direzione da cui, tra un poco, il sole sarebbe sorto.
Camminava con attenzione Michele su quell’acciottolato scivoloso che si avviluppava come un serpente sul fianco della montagna sempre delimitato da ripide scarpate e, verso valle, da profondi dirupi. Era una piccola balza ricavata nella roccia sul fianco ripido della montagna lungo cui bisognava muoversi con attenzione con l’orecchio teso al rumore di massi che potevano in ogni momento franare dal pendio e l’occhio attento a non mettere il piede in fallo.
Era forte il freddo quella mattina e il mulo sui ciottoli ghiacciati di brina scivolava e faceva fatica a salire, Michele procedeva lentamente, con attenzione, pensando al calore della casa e alla madre già china ai lavori domestici e poi pensava a Lei, a quei suoi occhi neri e a quel sorriso che gli aveva fatto sul sagrato della Chiesa, di nascosto alla madre.
Lo schiocco della roccia spaccata precedette l’urto del masso sul sentiero di pochi secondi, il tempo di staccarsi dal pensiero di quella bella dagli occhi neri e dal sorriso come neve, e fu già tardi.
Mentre cadeva sentì gli urti sul corpo contro gli spuntoni di roccia sul versante e i ragli di dolore del mulo che cadeva innanzi a Lui, il tonfo al fondo del dirupo ebbe il suono sinistro dello scricchiolio di qualcosa che si rompeva, poi fu il freddo della neve e il buio.
Una lama di luce lo svegliò; il sole, ormai alto nel cielo, gli scaldava il viso il corpo giaceva inerte alla base del pendio, poggiato di fianco, con le gambe disposte come quelle di una marionetta ormai rotta, capì subito che qualcosa si era rotto, le sue gambe gli mandavano dolorosi messaggi d’allarme.
Si disperò Michele dandosi per morto, chi mai l’avrebbe visto alla base del dirupo? Pianse pensando ai balli nella piazza del Paese al suono del’organetto, alle corse nei sacchi durante la festa del patrono, pianse di dolore e di paura. Dopo un poco tornò il buio nella sua mente e svenne.
Un rumore leggero, come uno scricchiolio lieve, lo svegliò. Cercò di alzare la testa per vedere chi fosse lì vicino, cercò di gridare ma anche quel filo era spento e venne fuori un grido rauco. E lo scricchiolio ci fu di nuovo.
Davanti ai suoi occhi un mucchietto di neve pareva sollevarsi, si schiudeva come il guscio di un uovo sotto i colpi di becco del pulcino, e scricchiolava.
Poi, un puntino giallo fece capolino tra i cristalli di ghiaccio della neve e poi si sollevò pian piano il bucaneve.
E il bucaneve si schiuse davanti ai suoi occhi e quel rosa e quel giallo lo avvolse e il verde del calice gli sorrise.
Rimase a lungo a guardare quel piccolo pulcino giallo che combatteva per sfondare il suo soffitto di neve e per uscire al sole e alla vita, guardava silenzioso quella singolare lotta per la sopravvivenza tra il gelo della neve e la determinazione del fiore a ricercare il sole. E infine sbocciò. Il bucaneve aprì la sua corolla e prese il sole e la vita.
Si riscosse Michele, dolorosamente cominciò a alzare il tronco tra fitte di dolore cercando la vita, come il bucaneve.
Strisciò, si aggrappò, cercò un appiglio e risalì lungo la scarpata, con le gambe rotte che urlavano di dolore, cercando il tratturo per ritornare alla vita e, quando alla fine fu ritrovato dai fratelli che erano andati a cercarlo, quasi al limite del sentiero scosceso, sorrise e pianse e, come il bucaneve, si riaprì alla vita.
Passarono mesi per Michele, mesi di dolore e di fasce, mesi di dottori e di lenta guarigione e poi tornò.
Fu la prima passeggiata che fece in paese, col fratello, fino al luogo del bucaneve.
Il Bucaneve non c’era più.

Giampiero D'Ecclesiis

domenica 23 novembre 2014

Domenica Mattina

Mi alzo presto, con un buco nel cuore che non si riempie, non dovrei averlo eppure c’è, ne circumnavigo il perimetro con la mente, percependo il vuoto di là del suo bordo, cercando di ritrarmi con un senso di vertigine, ma niente.
Succede talvolta che i luoghi, le cose o le persone che ci mancano ci arrivino addosso come un onda improvvisa e per un pò ci sommergono, ci smarriamo per qualche momento finché, più o meno velocemente, non recuperiamo l’equilibrio, poggiando sulla realtà che ci circonda, cercando di coglierne il bene, piano, fino a recuperare un po’ di equilibrio.
Questa è la storia della mia domenica mattina.
Esco di casa presto, con un peso sullo stomaco e un buco nel cuore, cerco di ristorarmi con un cornetto e un cappuccino, leggo il giornale, passeggio, mi ripeto di non pensarci, ma niente.
La mia mente corre sull’orlo del buco nero come la Perla nera di Jake Sparrow intorno al gorgo nel mare, anche la mia Calypso personale ne sa creare di vorticosi e io resisto passeggiando, provo a mettere la barra a dritta cercando di sfuggire.
Piazza Prefettura è ancora mezza vuota, il sole che finalmente è uscito dalle nuvole incerte del primo mattino, scalda ma solo il fuori, mi incammino verso Montereale alla ricerca di ispirazione e, forse, pace interiore.
All’uscita del ponte vedo Giovanni, con la pettorina blu è già al lavoro, Potentini Armati di Zappa – PAZ, è il nome che hanno scelto per questo gruppo di potentini che ripulisce il Parco, ci salutiamo, poche chiacchiere e mi ritrovo ad indossare la pettorina di Gianluca con un rastrello in mano.
Comincio a ripulire la stradina dal tappeto giallo e marrone di foglie autunnali e man mano che mi concentro a ripulire le aiuole percepisco un cambiamento, l’orlo del buco nero tremola, il gorgo pian piano si frange.
Non capisco bene neanche cosa succede, ma mi lascio portare e non mi sembra più di pulire la strada ma la mia mente, non sono più foglie quelle che spazzo e accumulo via, ma pensieri dolenti, li spazzo via, ripulisco il mio giardino e metto ordine, dopo poco il sole e il movimento mi fanno sudare ma non mi fermo, il mio mare interiore ora è calmo, respiro, riesco finanche a scherzare con un paio di ragazze che, come me, raccolgono foglie.
Vi domanderete forse perché vi racconto tutto questo.
Innanzitutto per dire a Giovanni che credo proprio che domenica ci vedremo di nuovo e che occorrerà che ordini felpa e pettorina anche per me, poi per dire che sono stato stupido, avevo intuito che mi sarebbe piaciuto, ma mi sono lasciato prendere dai mille problemi e dalla pigrizia, con entrambi posso far tregua per due ore la domenica mattina.
E poi per condividere due riflessioni sulla nostra Città.
Potenza è una piccola città, abitata da gente di provincia abituata a lasciar fare, a farsi governare, al limite a borbottare (protestare mai, non ci è abituata), eppure esiste una via per cambiare le cose, semplice, banale, quella di farle, di non aspettare, di smettere di fare i vagoni e cominciare a fare la locomotiva.
Mi ricordo com’era il Parco qualche tempo fa, e vedo com’è, a volte un po’ di lucida PAZzia serve a cambiare le cose, c’è da copiare, c’è da emulare, senza bandiere, senza etichette, solo cittadini che fanno senza aspettare.
La mia domenica  è andata meglio, ho riempito il mio buco di foglie, e da grigio sono diventato giallo, marrone, rossastro, azzurro è stata una bella sensazione e una bella domenica mattina, ad ora di pranzo i miei passi erano più leggeri e la prua della Perla nera fendeva di nuovo il mare senza pericoli.


Buona Domenica.

martedì 18 novembre 2014

Racconto: Fantasmi a Colazione

FANTASMI A COLAZIONE 


Quando Angelo mi chiamò fu una bellissima sorpresa, era davvero tanto che non lo sentivo, dai tempi dell’Università e sentendo la sua voce sempre uguale, con quel tono allegro e giovanile, mi prese una gran botta di nostalgia per le belle serate passate in compagnia di una chitarra e di qualche ragazza sugli scogli vicino a Castel dell’Ovo.

Giampie’ comme staje? Mamma mia da quanto tempo nun ce sentimmo guagliù! Siente, t’aggiu chiamato perché saccio che si addivintato nu geologo assai ‘sperto e mi serve un aiuto per risolvere una ristrutturazione in una villa di famiglia, vicino ad Avellino. Che dici? Jamme, ce verimmo sabato mattina ad Avellino e poi jammo a vedere la villa e stiamo insieme sabato e dummenica, dormi da me a casa mia. Nun puoie dicere no. Aggie invitato pure a altri cumpagne nuoste dell’Università. La chitarra la tengo ancora, passammo duie juorne ‘nzieme!
Come si fa a dire di no al tuo compagno di università? Come se Tex potesse dire no a Kit Carson, oppure come se Stanlio dicesse no ad Ollio, non è possibile. Mi ritornarono in mente mille episodi del periodo universitario, l’appartamento con le ragazze di economia e commercio, Antonia, la ragazza di Santagata dei Goti dalle gambe affusolate, i femminielli del piano di sopra, il nostro compagno Armando e la sua collezione di giornali pornografici, il Babà di Serafino, gli occhiali di Emilio, le risate.
Fu facile dire di si, più difficile lasciar trascorrere la settimana in attesa del sabato che alla fine arrivò.
Angelo era lì, sempre uguale, qualche filo bianco tra i capelli ricci e il suo sorriso trascinante ancora intatto, ci abbracciammo forte e partimmo per la sua villa.
Imboccammo una traversa della Strada Statale e ci infilammo in un lungo e stretto viale alberato che si allungava verso ovest e arrivammo davanti ad un cancello di ferro imponente, racchiuso in un muro di cinta ricoperto di antica edera, che immetteva alla proprietà del mio vecchio amico.
Era una grande vecchia masseria fortificata con due torri situate ai lati del corpo di fabbrica principale, un edificio imponente di tre piani, con le feritoie per sparare ai lati delle torri su più piani e lungo tutto il piano terra del corpo di fabbrica principale, ai lati due vetusti edifici semidiroccati dovevano essere magazzini e stalla.
Al centro della facciata principale un ampio portone a due battenti con uno stemma nobiliare e una porta di legno rinforzata da lastre di metallo e con una serie di chiodi sporgenti, due grosse maniglie e una feritoia per spiare da dentro.
Bussò forte Angelo, più volte, alla fine si aprì lo spioncino e due occhi di donna ci guardarono da dietro la fessura, subito dopo si sentì un grido gioioso da dentro, un rumore di chiavistelli ed entrammo, non feci in tempo ad adattarmi alla penombra dell’ingresso che fui stretto in un abbraccio profumato della fragranza del profumo Armani da donna e baciato sulla bocca, sarebbe meglio dire nella bocca, da labbra calde e da una lingua vorticosa, in cerca di conferme le mie mani andarono verso il fondoschiena della baciatrice e riconobbero Antonia la nostra amica che terminò il bacio sussurrandomi all’orecchio, “ti vedo sempre su facebook, sei migliorato col tempo ed hai conservato quel buon sapore che mi ricordavo”.
All’ingresso della casa, al lato della stanzona, troneggiava un grande camino acceso con di fronte dei vecchi divani e una grande specchiera di noce nazionale, sul lato destro una grande porta immetteva verso una stanza da cui si sentivano provenire le note della Kc an sunshine band, risate, e un vociare allegro.
Ed erano tutti lì, qualcuno perfettamente uguale a come l’avevo lasciato, qualche altro con pancetta e pochi capelli, qualche occhiale da presbite, qualche capigliatura sale e pepe, ma gli occhi erano tutti uguali come li avevo lasciati 28 anni fa, lucidi, febbrili, sguizzanti, alla ricerca del lato divertente della vita, fraterni e pieni di sollecitudine, grati per quel bell’incontro.
In un attimo furono abbracci e sorrisi, pacche sulle spalle, ammiccamenti alla volta di Antonia che indossava un tailleur blu che esaltava le sue gambe meravigliose ancora assolutamente mozzafiato con in più quel pizzico di fascino “vissuto” di una bellissima donna di 50 anni, perfettamente consapevole delle sue grazie e dell’effetto che avevano sugli altri.
Dopo un po’ Angelo mi chiamò da parte e mi chiese di accompagnarlo nello studio al fine di sottopormi la questione pratica per cui, al di là del piacere della rimpatriata che aveva organizzato prendendo quell’occasione come spunto, mi aveva chiesto di vederci.
Il problema di Angelo era la stabilità delle pareti della cantina situata sotto la casa dove erano conservate le enormi botti in cui faceva maturare l’ottimo aglianico che produceva nelle sue terre, mi spiegò la questione e alla fine concordammo di andare a dare un occhiata in cantina.
Era oggettivamente in cattive condizioni, gli archi di pietra che sostenevano le volte erano mal messi, in qualche caso la chiave era dissestata, gli antichi tronchi di legno che fungevano da sostegno erano in parte marciti, le pareti mostravano segni visibili di cedimento e vi erano vistose infiltrazioni di acqua.
Mi spiegò distrattamente che una volta parte di quella cantina era il cimitero di famiglia e che il Padre aveva provveduto negli anni ’50 a far rimuovere le sepolture e le ossa e a trasportarle nella tomba di famiglia ad Avellino, da qualche parte, disse, dovevano ancora esserci le spoglie di un cugina di suo nonno morta vent’enne di spagnola.
Stranamente, subito dopo questo racconto di memorie familiari la cantina mi sembrò più fredda e in più occasioni ebbi come la sensazione di una corrente fredda che mi carezzasse la nuca, ricordo che rabbrividii più volte cercando di dissimularlo mentre il mio amico mi precedeva in direzione delle scale che portavano alla casa e alla simpatica compagnia dei nostri amici.
La sera trascorse tra cibi e fiumi di vino, ingaggiai una lotta all’ultimo sangue con Emilio per chi doveva portarsi a letto Antonia che persi, diedi una ultima fugace occhiata alle sue gambe paradisiache mentre, ridacchiandomi e salutandomi con la mano si infilava nella stanza da letto di Emilio per andare a fare l’amore.
Entrai nella stanza che Angelo aveva fatto preparare per me, una specie di piccolo studiolo con una bella libreria e una scrivania in noce, con una bella lampada da tavolo di ottone dorato e una vittoria alata come ferma carte.
Mi sedetti sul letto, ormai stanchissimo e disfatto dal vino e dalla delusione di aver perduto l’occasione di rinverdire antichi fasti con la mia amica, e chiusi un attimo gli occhi.
Mi sentii sfiorare le guance da una carezza gelata che subito dopo mi sfiorò la nuca e la schiena strappandomi un gridolino di sorpresa e facendomi spalancare gli occhi, al naso un leggero profumo di magnolia e come una sensazione di nebbia davanti agli occhi.
Sarà stato il vino? Non lo so, di per certo ne fui spaventato e come i ragazzini mi misi nel letto coprendomi la testa con le coperte di lana, seguì un sonno tanto profondo quanto agitato.
Mi svegliai che il sole era appena sorto, una bruma grigia velava l’intera campagna rendendo finanche l’imponente muro di cinta della villa come un indistinta riga più scura persa nell’incertezza di un grigio soffuso, le querce erano forme indistinte e vaghe dall’aria minacciosa, di fronte a me, alla scrivania, Lei leggeva.
Era una ragazza bruna, magra, con indosso una sottile vestaglietta rosa dai mille merletti, al collo un piccolo cameo e una croce, un fermaglio d’osso sui capelli. Scriveva su un foglio con l’aria concentrata e le sopracciglia aggrottate, la lingua appena faceva capolino al lato della bocca.
La guardai sorpreso, lei per un attimo alzò i suoi occhi su di me e abbozzò un piccolo sorriso poi chinò il capo e riprese a scrivere; rimasi ad osservarla a lungo, al suo fianco da una tazza fumante di te si alzavano volute di vapore che salivano verso l’alto.
Ad un tratto alzò la testa e mi guardò e con una vocina sottile disse porgendomi la tazza, i suoi occhi verdissimi brillavano come smeraldi,
Vuoi un po’ di te?
Allungai la mano verso la tazza, quasi felice di quel gesto che mi confermava della sua presenza fisica, avevo quasi raggiunto con la mia mano la tazza quando il primo raggio di sole, dalla finestra, illuminò la stanza. In quello stesso istante la mia mano raggiunse la tazza e ne fu istantaneamente intorpidita un gelo profondissimo.
La vidi sfumare via come nebbia dal basso diventando via via più trasparente, l’ombra del suo sorriso e dei suoi occhi luminosi furono l’ultima cosa a sparire rimanendomi impressi nella mente; il mio sangue, di ghiaccio, riprese a circolare lentamente solo qualche minuto dopo.
Quando raccontai ad Angelo del mio sogno, così mi espressi cercando di razionalizzare ciò che avevo visto, lui non rise, mi guardò serio e mi disse che ogni tanto la sua antica cugina, di cui mi descrisse in maniera precisissima ed esatta le fattezze, compare a qualcuno, mi suggerì di andare via e di non tornare perché a volte, Lei, si affezionava ai suoi visitatori seguendoli a distanza fino alle loro case.
Non sorrideva, non mi stava prendendo in giro ed io mi spaventai.
Non sono più tornato a casa di Angelo da quella volta, mi capita ogni tanto, in quelle mattine di bruma spessa in cui mi alzo la mattina e guardo la mia città da dietro la finestra, di sentire un soffio freddo che mi carezza la schiena, quando succede, in genere, non mi volto a guardare chi c’è.

sabato 15 novembre 2014

Buongiorno!!!

Una lettura per iniziare alla grande il fine settimana.
In Ipnotiche oscillazioni trovate questo... ma non solo.


<< IL CAFFÈ DEL MATTINO

"Cavaliere Eccellenza buongiorno!"
"Bongiovno Cavo. Che ova sono?"
"Sono le dieci, Cavaliere Eccellenza!"
"Bvutto animale! Ed è questa l’ora di svegliavmi? Non sai tu che oggi devo
andave a cavallo?"
"Gnornò Cavaliere Eccellenza, altrimenti l’avrebbi chiamato prima, Cavaliere
Eccellenza"
"Animale! Imbecille! Incapace! Non ti bastono pevchè mi fai schifo!"
"Grazie Cavaliere Eccellenza. Che comandi avete Cavaliere Eccellenza?"
"Povtami o’ CCafè! E mi vaccomando fammelo speciale come sai fave tu!"
Giovanni il maggiordomo andò in cucina, prese la caffettiera e apprestò la sua
ricetta speciale a base di caffè poi… ce sputaie arinte.
Aspettò con pazienza che l’intruglio venisse a bollire poi fece il caffè.
"Ahhhhh Giovanni mio! Sei una bestia, un animale, uno stvonzo ma O’ CCafè
come lo fai tu non lo fa nessuno. E’ pev questo che non te ne caccio!"
"Cavaliere Eccellenza lo sapete io quando faccio il caffè per Voi ci metto tutto
me stesso"
"Va bene va bene. Mò Vavattenne, che mi devo pvepavave"
"Arrivederci Cavaliere Eccellenza, Servo vostro, Cavaliere Eccellenza.
Il Cavaliere pensaie "Stu strunz’ pure fernesce ca ce sputa arinde a ‘o caffè
mie! Faccio bbuono ca me fotto a mugliera!"
Giovanni pensò "T’aggie cresciute ‘a sputazza omme ‘e mmerda! Faccio
bbuono ca me fotte a mugliereta e pure ‘a figlieta!"
Popolo batte aristocrazia 2 a 1.>>


venerdì 3 ottobre 2014

Letti di sera, nuovi personaggi e fattarielli inediti!

Potenza - Stasera in Piazza della Costituzione, il reading di Giampiero, nella rassegna Letti di sera, vedrà protagonisti non solo i personaggi di ipnotiche oscillazioni, come "teresina", ma nuove storie e fattarielli inediti oltre alle poesie, il tutto accompagnato da musica jazz dal vivo. Se siete curiosi di conoscere i nuovi personaggi di Giampiero o semplicemente volete trascorrere una serata diversa dal solito, vi aspettiamo da Cibò!


martedì 26 agosto 2014

Letti di Sera. Narrazioni alla fine di una scalinata



3 ottobre prossimo alle 20.00, in Piazza della Costituzione (rione Poggio tre Galli) vicino il Bistrot Cibò, a Potenza.


Anche Ipnotiche Oscillazioni sarà protagonista di una serata nell'ambito della rassegna "Letti di Sera.  Narrazioni alla fine di una scalinata".

Che cos'è in breve "letti di Sera"? Una serie di appuntamenti  e di "letture sulla passione di Basilicata nascono da tutto questo, non solo vogliono farsi sentire attraverso le voci e i volti di chi porta sul leggio i fogli dove le dita hanno consumato tastiere e tirato fuori le parole del cuore e della mente, ma vogliono, fermamente vogliono creare una sintonia ancora più preziosa con la nostra terra."

Vi aspettiamo per condividere una buona lettura, "la scalinata, delle candele, dei cuscini, un leggìo, una piccola pedana, un cartone per raccogliere scritti vaganti sulla passione Basilicata".









mercoledì 25 giugno 2014

IPNOTICHE OSCILLAZIONI, LA MIA PRIMA INTERVISTA DA “SCRITTORE”.

In questi anni ho conosciuto tante persone, come sempre succede ne ho conosciuto di belle, di brutte, di mediocri, di insignificanti,di eccezionali e potrei continuare a lungo con gli aggettivi senza riuscire ad includere tutti i casi in cui mi sono imbattuto.
Ho stretto rapporti con persone nuove, ho incontrato nuovi amici e, dopo un lungo periodo in cui, dopo la perdita di un caro amico, mi sono sentito solo ho ricominciato a sentire intorno a me il profumo dell’amicizia.
E’ un profumo raro quello dell’amicizia, è il profumo dell’affetto disinteressato, dell’empatia automatica, della tendenza alla sincerità.
Perché vi parlo di queste cose in una nota che dovrebbe parlare della mia prima intervista?
Perché queste cosa hanno molto a che fare con la mia prima intervista da “scrittore”, lo metto ancora tra parentesi, dopo tre o 4 pubblicazioni e dopo tanti racconti scritti mi sento ancora pienamente un grafomane ignorante e, se anche la mia amica Ester mi dice che non dovrei, proprio non riesco a svestire i panni di quello capitato per caso in un salotto di lusso.
Scrivere mi diverte, mi piace, mi aiuta a superare i miei momenti, incidentalmente le cose che scrivo piacciono anche a taluni, ma sono anche convinto che molti, moltissimi semplicemente non ci provano.

D'Ecclesiis mentre legge un "Fattariello"
Foto Massimo Bavusi
Torniamo a noi: La mia prima intervista.

E’ uscita qualche giorno fa sul Giornale Lucano e la mia prima intervista me l’ha fatta un amico, una persona complessa, a volte tormentata, di grande intelligenza e sensibilità, uno che, come me, non riesce a tenersi tutto dentro e deve scrivere poesie per svuotare almeno un poco il serbatoio delle emozioni e cercare di evitare che esse lo soverchino, siano esse di felicità o meno.

Di chi sto parlando? Leonardo Pisani, naturalmente.

Leo è uno che sa osservare, anche da lontano, è uno che scrive di pancia come me, è uno che facilmente decodifica le mie costruzioni anche quando cercano artificiosamente di dissimulare, Leonardo ha pensieri ed è mio amico. Ma è anche uno che cerca, che studia che ama il particolare.
È a lui che rilascio la mia prima intervista da “scrittore”, è lui che la sollecita, che mi marca e che per primo lancia una boa luminosa a rischiarare la strada del mio “Ipnotiche oscillazioni”; è Lui che tante volte mi ha detto “Uagliò ma che aspetti? Quando li pubblichi ‘sti racconti?”.
L’intervista la pubblica subito sul Giornale Lucano (grazie alla testata) e lancia, per primo, il mio libro.

Leonardo.

Ecco, la storia di Oscillazioni Ipnotiche è fatta anche di questo, di piccoli gesti di amicizia, di telefonate notturne , di –Uagliò comme staje?- , di sguardi dal fondo della sala, di sigarette fumate di notte scambiandosi messaggi via chat.
Alla fine quello che mi rimane è sempre molto di più di quello che, forse, sono riuscito a dare con ogni mio singolo racconto, ho degli amici, cari, che mi stimano e mi vogliono bene.
Il resto conta meno.


leggi l'intervista qui >>>




martedì 24 giugno 2014

SABBATE E' PASSATO, ASPETTANNE VENERDI'

Il 21 Giugno ho affidato al grande mare la mia nuova creatura, costruirla e darle le sue fattezze finali è stata una esperienza piacevole, ho iniziato una collaborazione gradevolissima con Antonio e Manuela, che sono persone divertenti e spiritose, ma anche competenti e propositive, ho intersecato di nuovo Giulio Laurenzi che non è solo un maestro del disegno, ma è sempre una persona disponibile e sorridente, capace di cogliere il senso con una matematica precisione.


Giulio ha prodotto per il mio libro, la copertina e le molte bellissime illustrazioni che lo arricchiscono e ne aumentano il contenuto artistico, ancora una volta è bastata una chiacchierata, quel po’ di empatia che evidentemente scorre tra noi, ed è stato facile collaborare.
Ancora una volta con me c’è stata Antonella, c’è perché è mia amica, c’è perché è uno dei produttori di cultura più affidabili e capaci che io conosca, c’è perché a fare le cose insieme ci divertiamo.
Curioso come in ambedue i mie libri l’accoppiata sia stata questa, Giulio per le illustrazioni e Antonella nelle pre o post-fazioni, il tutto in maniera del tutto casuale, entrambi sono persone impegnate, e considero una circostanza fortunata che abbiano trovato il tempo per me ed anche una dimostrazione di affetto nei miei confronti che mi rende molto felice.
Sabato, Domenica e oggi sono stati giorni di grande soddisfazione, la presentazione è andata benissimo, un grazie a tutti quelli che hanno partecipato, a vecchi amici che ho rivisto con piacere, a nuovi amici che mi gratificano della loro vicinanza. Un grazie al Circolo Potenza Partecipa che mi ha ospitato nella sua sede gradevole e comodissima.
Ad Antonio Candela, Manuela (Vaughan) Stefanelli che mi hanno accompagnato in questa nuova esperienza editoriale un grazie, Antonio e Manu sono due persone speciali, competenti, gentili, divertenti, il progetto Editrice Universosud sono sicuro gli darà grandi soddisfazioni ed io lo spero di tutto cuore.
Ci sono persone con le quali si instaurano rapide correnti di simpatia, Sara Lorusso è una di quelle, abbiamo chiacchierato sul mio libro e, facilmente, ha colto il senso delle mie parole e dei miei scritti con una rara capacità empatica.
Il suo bellissimo articolo sul Il Quotidiano della Basilicata di ieri è stata una delle cose che mi ha riempito la giornata di Domenica che, anche per altri versi, è stata una giornata veramente speciale. Un grazie Saretta, sei una persona speciale.
Un grazie a Il Quotidiano della Basilicata per l'attenzione dedicata al mio lavoro.
Infine oggi è stata per me, piccolo autore "cafone", ossia di provincia, una grande soddisfazione trovare sul più antico quotidiano post-unitario d'Italia, IL ROMA di Napoli, la bella recensione di Mimmo Sica sulle mie Ipnotiche Oscillazioni.
Il 27 giugno alla Pinacoteca Provinciale proporremo di nuovo le “Ipnotiche Oscillazioni” con una serie di contorni nuovi e, soprattutto, con l’introduzione della mia cara Antonella Pellettieri che il 21 per una serie di sfortunate coincidenza non è riuscita, rientrando da Barcellona, ad arrivare in tempo.
Vi aspetto tutti, abbiamo delle torte da mangiare, dello spumante da stappare e qualche abbraccio da scambiarci, avremo la scenografia di tutto rispetto della bellissima mostra fotografica di Edoardo Angrisani “Comunicare di fotografia” e con gli amici della Universum Academy Basilicata.

Un abbraccio sentito a tutti.

Giampiero D'Ecclesiis

lunedì 23 giugno 2014

Una presentazione ipnotica!

Et voilà! So che molti di voi non hanno potuto esserci alla prima presentazione del libro, ma non preoccupatevi,  questa era solo la prima tappa del tour! prossima oscillazione? 27 giugno ore 18.00 pinacoteca provinciale Potenza, ospiti del caro amico Eduardo Angrisani e dalla sua mostra fotografica "Comunicare di Fotografia: dall'analogico al digitale" ! Per ora godetevi le bellissime immagini che il nostro fotografo Massimo Bavusi ha fatto per voi!













mercoledì 18 giugno 2014

La Casa Editrice Universosud

UNIVERSOSUD Editrice è nata all’interno della Società Cooperativa Universosud, fondata nel Luglio 2011 dall’idea di un gruppo di giovani laureati under 35 accomunati dalla passione per la loro terra e da esperienze di formazione distanti ma integrate. La missione è quella di incentivare la cultura e la sua diffusione attraverso tutti gli strumenti possibili, per dare vita a quelle piccole realtà che sfuggono alle grandi maglie dei colossi del libro. Far emergere i talenti e le sensibilità del territorio lucano è un aspetto prioritario. Per questo valutiamo e pubblichiamo tutte le tipologie di progetti editoriali e accettiamo le sfide che gli autori ci propongono.

lunedì 16 giugno 2014

waiting for the 1st summer day!

WAITING FOR SATURDAY - ASPETTANNE SABBATO


Ci siamo quasi, mancano pochi giorni, il 21 giugno presenterò il mio “Ipnotiche oscillazioni ed altre storie”, è un libro di fattarielli, alcuni divertenti, umoristici, altri più accorati, qualcuno decisamente malinconico. Ho imparato cos’è un fattariello da mia Zia Annamaria, la sorella di mia Nonna, che da bambino mi ammaliava con lunghi racconti inventati al momento, alla sera, prima di mandarmi a letto.
I miei sono racconti istantanei, nascono in pochi minuti, con pochi ingredienti: io, il mio word processor (questa è una citazione del mio mito letterario Stephen King) e una parola o un’immagine che scatena l’immaginazione e intorno alla quale il racconto nasce e si sviluppa. Nascono così, mai saputo all’inizio come sarebbe finito un mio racconto, la trama si sviluppa mentre digito, a volte in maniera forsennata, sulla tastiera alla ricerca di un filo che talvolta è chiarissimo e facile da seguire e a volte è durissimo da dipanare.
Perché scrivo? Mi diverte, sono oggettivamente un po’ narciso, mi piace leggere le reazioni che suscito ma, soprattutto, scrivere mi aiuta tanto a raccontare me stesso, il mio immaginario, a volte ad esorcizzare le mie paure. Non è affatto casuale che io alterni periodi in cui scrivo solo racconti ad altri in cui scrivo solo poesie, i miei scritti seguono sempre le mie stagioni.
Vi aspetto tutti, numerosi pe stu’ Battezzo. Un libro nuovo è una creaturina che appena nata viene mandata per il mondo sulle sue gambe, spero che faccia tanta strada.
Vi preannuncio che alla presentazione del 21 saranno presenti anche gli amici in carne ed ossa che hanno ispirato alcuni personaggi (non vi dirò quali neanche sotto tortura).



venerdì 13 giugno 2014

Racconto: RITORNI.

Il sole saliva piano dalla valle del Basento verso il vecchio castello diroccato e mezzo nascosto e il campanile sembrava affannarsi sopra al tetto delle case per salutare il sole calante. I carretti, ormai vuoti, scendevano piano dalla piazza del mercato.

Il sentiero, chiazzato dalle ombre degli olmi, era avvolto in rovi di more; con lenta fatica il mulo menava il bastio colmo di legna su verso l'erta del Cimitero e il mulattiere,  all'ombra della coppola, guardava con occhio esperto le bacche di mora alla ricerca delle più succose.
Il vento, caldo e un po' indolente, si arricchiva degli odori estivi filtrando tra foglie di lauro e tra rametti di origano e scostava, lieve, i primi rami del salice.
Il rumore ipnotico e monotono degli zoccoli sul selciato rendeva la quiete più evidente, una stasi del tempo.
Michele, seduto sulla seggiola all'uscio di casa, osservava, senza vederlo, il volo azzardato delle rondini come frecce nel cielo offuscato dall'afa. La camicia bianca rendeva più forte il contrasto con la pelle bruna, bruciata dal sole che, a sua volta, rendeva l'azzurro profondo degli occhi, luminoso come un faro nel buio di una notte senza luna.
L'annata maligna e la poca acqua avevano reso le spighe, di solito grasse di farina e gialle di oro al sole di luglio, secche come le ali di una cavalletta morta alla fine d'estate.
Il senso di solitudine e la mancanza del figlio lontano velava lo sguardo d'azzurro del vecchio contadino di un grigio doloroso, una vecchia alfa bruciava lenta tra l'indice e il medio della sua mano destra.
Giovanni, con passo sicuro, arrivava dal vialetto d'accesso alla casa e, con un sorriso antico, agitava la mano in segno di saluto. Era basso Giovanni, largo di spalle e di mano ampia e callosa, indurita dal legno di mille e mille zappe e vanghe impugnate. Intorno agli occhi una maglia di vecchie rughe conciava il suo viso come fosse di cuoio e una rada barba bianca, un po' incolta, gli incorniciava il viso. “U' 'ccattammo u furne de mast' Nicol'? Che dici Michè?”. Il forno di Mastro Nicola, il forno all'ingresso del paese all'inizio dell'erta che dalla Caserma dei soldati portava alla porta S. Gerardo; caldo d'inverno, con l'odore del pane che apriva lo stomaco e accendeva la fame. “ Ehh.. truoppe turnesi ce vonn Giuà'. Nuie braccial' sule u pane de Mast'Nicola e quacche vote manche quedd'”. Sedutosi al tavolino Giovanni, con il bicchiere di vino nella mano e dopo aver aspettato che Michele fosse seduto disse ad un tratto “ Michè', m'ha scritte Faiele” e, dopo una lunga pausa di sospensione, riprese “M'ha scritte ca vene dummenica, voleva sapè se te facìa piacere”, “e Tu? Che l'hai ditte?” un sorriso tra le rughe del volto di Giovanni ed un lampo nei suoi occhi “Ca avìa venì!”. L'occhio umido di Michele faceva fatica a mettere a fuoco il vecchio Compare ma il suo sorriso di gratitudine e affetto parlava più dei suoi occhi, si abbracciarono forte i due contadini e bevvero vino.
I giorni fluttuarono veloci tra orti da zappare, pensieri turbinosi e sospiri di ansia ed attesa e, finalmente, venne il sabato mattina e l'ultima penosa attesa delle lunghissime ore dall'alba alle 9,00 quando, impaziente, il vecchio Michele si avviò per l'erta del Cimitero verso la Città.
Pensava Michele, e i suoi ricordi lo sommergevano, poi, all'ennesima curva del tortuoso sentiero segnato da rovi di more, dopo una pausa di incomprensione, il cuore di Michele partì tambureggiando: Raffaele, Faielùccio come lo chiamava Michele quando era bambino, il figlio emigrato lontano nella grigia Torino nello stridore dell'acciaio nella grande fabbrica di automobili e che da quattro anni non tornava, stava scendendo verso casa.
Le discussioni, le incomprensioni le arrabbiature tutti quei fatti che avevano portato ad una separazione dolorosa, a quella amputazione subita e non compresa dal padre contadino, da parte del figlio che voleva partire, erano alle spalle, Raffaele tornava.
La grigia caligine, che un attimo prima offuscava l'azzurro degli occhi, sparì come d'autunno la nebbia sciolta dal caldo sole dell'estate di S. Martino e lacrime limpide scesero nelle valli secche delle rughe del suo volto.
L'odore del figlio, ancora piccino, disteso a dormire sul suo ventre mentre disteso su una sedia lo cullava, gli affiorò istintivamente nel naso e un nodo d'amore gli strinse la bocca dello stomaco levandogli il fiato. I piedini morbidi e le sue manine sulla faccia, i suoi primi sorrisi e suoi baci appiccicosi di zucchero e di miele di cui era goloso. La sua piccola mano poggiata sul seno pieno di Anna Lucia che lo allattava e i suoi occhi duri di rabbia a vent'anni.
Ma ora tornava, il Figlio, e Lui non ci credeva quasi, tornava! La pianta era verde e tornava alle radici.
Il vecchio avanzava con passo deciso sulla strada che sale verso il cimitero e di lì alla Chiesa di S. Rocco scrutando ogni curva, scostando ogni rovo e ogni cespuglio che occultava la vista con il cuore in tumulto.
Scendeva la strada lo sguardo duro di rabbia, una valigia nella mano destra e nell'incavo del braccio sinistro un fagotto; dietro di Lui, con passo danzante ed un sorriso d'avorio, una giovane donna bruna con una tracolla di lino e una borsa.
Michele si fermò a guardare il figlio, i suoi riccioli biondi e i suoi occhi azzurri, timidi che, appena lo ebbero inquadrato, brillarono e poi, d'incanto, un sorriso di felicità.
Due sguardi di amore e dolore si fusero in un sorriso dolente e poi, con un gesto da mago di fiera, Faieluccio sciolse il fagotto e sorridendo sollevò un bimbetto nudo e scalciante gridando “Papà, guardate chi c'è” il piccolo sorrise e strinse le dita del padre nella sua manina.
Nell'incavo del Nonno il fagotto guardava il vecchio Michele e le sue mani curiose tiravano le folte sopracciglia mentre due rivoli d'argento scendevano dalle antiche finestre.
Uno sguardo d'amore e il vecchio Michele volò; attraverso le iridi azzurre del nipotino  sulla sua terra e sulla campagna, volò sulla vigna e sul piccolo orto dietro la casa, sul cimitero e sulla tomba di Anna Lucia, la sua donna dagli occhi d'oliva e dal viso color melagrana.
La vide in cucina, sudata, con il figlio avvolto in una piega del grembiule che, ogni tanto, sollevava per dargli il latte al suo seno, rivide i suoi occhi angosciati una serie d'autunno quando, mentre moriva, pensava al marito rimasto da solo.
Al mattino la casa silenziosa era immersa in un bianco di nebbia e il silenzio, interrotto a momenti dal fruscio del vento nelle canne, era come una sospensione della vita.
Michele, guardava il viso tranquillo del figlio addormentato e della moglie, serena al suo fianco. Il piccolo nipote, con gli occhi sgranati di sorpresa, guardava affascinato il primo raggio di sole che, a fatica, insinuandosi tra volute di nebbia, era approdato alla finestra. Il suo sorriso specchiato negli occhi del Nonno.

Il sole saliva piano dalla valle del Basento verso il vecchio castello diroccato e mezzo nascosto e il campanile sembrava affannarsi sopra al tetto delle case per cercare il primo sole. I primi carretti si avviavano, piano, verso la piazza del mercato.

(Questo racconto non è pubblicato in "Ipnotiche Oscillazioni")


lunedì 9 giugno 2014

Uno che... chi è Giampiero D'Ecclesiis.

"Sono uno che inizia presto la giornata, di quelli che d’inverno si alzano quando è buio e d’estate quando il sole ha appena acceso un velo di rosa pallido all’orizzonte e ad ovest è ancora notte.
Di quelli che di notte si siedono in pigiama nel tinello, guardando la caffettiera e aspettando che quel fluido nero e caldo del mattino, che ancora non è iniziato, gli scenda nello stomaco per dargli abbastanza calore da sentirsi vivi e cominciare la giornata.
L’ascensore al mattino fa un baccano infernale e allora scendi a piedi per non dare fastidio e, quando apri il portone di casa, d’inverno, l’aria fredda della notte ti viene incontro e ti si stringe addosso, amica e nemica che ti aiuta a svegliarti ma ti gela le ossa.
Le bocce gialle dell’illuminazione pubblica illuminano il centro storico e quei monconi di campanili che vedi stentano al di sopra di tetti rossastri e la città ti sembra un'altra cosa, non sempre amichevole. A volte è muta e ostile, nel freddo di prima mattina. I tuoi passi risuonano lenti sul selciato e, se senti un cane che abbaia, affretti il passo per chiuderti in auto. Le auto degli altri mattinieri come te passano chiuse tra vetri appannati e ospiti imbacuccati per il freddo.
D’estate il mattino è più ospitale, il sole inizia a disegnare un chiarore rossastro all’orizzonte e l’aria del mattino ti accoglie fresca e pulita dopo una notte di sudori e caldo nel letto, tra le mura della tua casa infuocate dal sole d’estate. E allora ti allunghi, vai al bar dopo il Covo degli Arditi e ti prendi un altro caffè e il barista sorride per farti capire che non sei solo in piedi a prima mattina e quel caffè ti sembra più caldo di quello che ti sei fatto a casa da solo.
Sono uno che finisce tardi la giornata, di quelli che d’inverno tornano a casa di notte e che non vedono mai il sole nella loro città, di quelli che d’estate, quando va bene, lo vedono tramontare quando stanno per arrivare a casa.
Sono uno che vive a pezzi, un pezzo questo fine settimana e un pezzo il prossimo, perché in mezzo ho solo il tempo di mangiare e dormire, per me tempo non ne ho.
Sono di quelli che scrivono e che sono troppo pigri per inseguire la chimera di un editore ricco e famoso che li porta via in limousine, mi piace farlo per me, per i miei amici e per quelli che, girando distrattamente per la rete possono imbersi nella piccola boa galleggiante del mio sito. 
A tutti un buon divertimento. 

Giampiero D’Ecclesiis (Miles Algo) 






mercoledì 4 giugno 2014

INVITO: Presentazione libro "Ipnotiche oscillazioni"

Si terrà il 21 Giugno alle ore 18.00, con l'inizio dell'estate, la presentazione del nuovo libro! 
Dove? Al circolo culturale Potenza Partecipa (ex new evoé) in vico S.Lucia, 31 - via Pretoria.
"Ogni parola, ogni episodio, ogni singola storia diventa motivo e occasione per scrivere, per narrare, per aggiungere un nuovo ritratto a questa interminabile galleria.
 Giampiero D’Ecclesiis è un trasformista, sì proprio di quelli che escono da un paravento e, in pochi attimi, mettono gli abiti di un nuovo personaggio al maschile e al femminile.
E siccome sono i social i primi ad aver ospitato questi racconti, non posso terminare dicendo che la qualità di questi racconti è in quella leggerezza piena di contenuti in quella velocità di un hashtag dove gli spazi fra una parola e l’altra non esistono. Si leggono tutti d’un fiato come i racconti di questo volume". (Antonella Pellettieri)

Stay tuned for further details!