venerdì 13 giugno 2014

Racconto: RITORNI.

Il sole saliva piano dalla valle del Basento verso il vecchio castello diroccato e mezzo nascosto e il campanile sembrava affannarsi sopra al tetto delle case per salutare il sole calante. I carretti, ormai vuoti, scendevano piano dalla piazza del mercato.

Il sentiero, chiazzato dalle ombre degli olmi, era avvolto in rovi di more; con lenta fatica il mulo menava il bastio colmo di legna su verso l'erta del Cimitero e il mulattiere,  all'ombra della coppola, guardava con occhio esperto le bacche di mora alla ricerca delle più succose.
Il vento, caldo e un po' indolente, si arricchiva degli odori estivi filtrando tra foglie di lauro e tra rametti di origano e scostava, lieve, i primi rami del salice.
Il rumore ipnotico e monotono degli zoccoli sul selciato rendeva la quiete più evidente, una stasi del tempo.
Michele, seduto sulla seggiola all'uscio di casa, osservava, senza vederlo, il volo azzardato delle rondini come frecce nel cielo offuscato dall'afa. La camicia bianca rendeva più forte il contrasto con la pelle bruna, bruciata dal sole che, a sua volta, rendeva l'azzurro profondo degli occhi, luminoso come un faro nel buio di una notte senza luna.
L'annata maligna e la poca acqua avevano reso le spighe, di solito grasse di farina e gialle di oro al sole di luglio, secche come le ali di una cavalletta morta alla fine d'estate.
Il senso di solitudine e la mancanza del figlio lontano velava lo sguardo d'azzurro del vecchio contadino di un grigio doloroso, una vecchia alfa bruciava lenta tra l'indice e il medio della sua mano destra.
Giovanni, con passo sicuro, arrivava dal vialetto d'accesso alla casa e, con un sorriso antico, agitava la mano in segno di saluto. Era basso Giovanni, largo di spalle e di mano ampia e callosa, indurita dal legno di mille e mille zappe e vanghe impugnate. Intorno agli occhi una maglia di vecchie rughe conciava il suo viso come fosse di cuoio e una rada barba bianca, un po' incolta, gli incorniciava il viso. “U' 'ccattammo u furne de mast' Nicol'? Che dici Michè?”. Il forno di Mastro Nicola, il forno all'ingresso del paese all'inizio dell'erta che dalla Caserma dei soldati portava alla porta S. Gerardo; caldo d'inverno, con l'odore del pane che apriva lo stomaco e accendeva la fame. “ Ehh.. truoppe turnesi ce vonn Giuà'. Nuie braccial' sule u pane de Mast'Nicola e quacche vote manche quedd'”. Sedutosi al tavolino Giovanni, con il bicchiere di vino nella mano e dopo aver aspettato che Michele fosse seduto disse ad un tratto “ Michè', m'ha scritte Faiele” e, dopo una lunga pausa di sospensione, riprese “M'ha scritte ca vene dummenica, voleva sapè se te facìa piacere”, “e Tu? Che l'hai ditte?” un sorriso tra le rughe del volto di Giovanni ed un lampo nei suoi occhi “Ca avìa venì!”. L'occhio umido di Michele faceva fatica a mettere a fuoco il vecchio Compare ma il suo sorriso di gratitudine e affetto parlava più dei suoi occhi, si abbracciarono forte i due contadini e bevvero vino.
I giorni fluttuarono veloci tra orti da zappare, pensieri turbinosi e sospiri di ansia ed attesa e, finalmente, venne il sabato mattina e l'ultima penosa attesa delle lunghissime ore dall'alba alle 9,00 quando, impaziente, il vecchio Michele si avviò per l'erta del Cimitero verso la Città.
Pensava Michele, e i suoi ricordi lo sommergevano, poi, all'ennesima curva del tortuoso sentiero segnato da rovi di more, dopo una pausa di incomprensione, il cuore di Michele partì tambureggiando: Raffaele, Faielùccio come lo chiamava Michele quando era bambino, il figlio emigrato lontano nella grigia Torino nello stridore dell'acciaio nella grande fabbrica di automobili e che da quattro anni non tornava, stava scendendo verso casa.
Le discussioni, le incomprensioni le arrabbiature tutti quei fatti che avevano portato ad una separazione dolorosa, a quella amputazione subita e non compresa dal padre contadino, da parte del figlio che voleva partire, erano alle spalle, Raffaele tornava.
La grigia caligine, che un attimo prima offuscava l'azzurro degli occhi, sparì come d'autunno la nebbia sciolta dal caldo sole dell'estate di S. Martino e lacrime limpide scesero nelle valli secche delle rughe del suo volto.
L'odore del figlio, ancora piccino, disteso a dormire sul suo ventre mentre disteso su una sedia lo cullava, gli affiorò istintivamente nel naso e un nodo d'amore gli strinse la bocca dello stomaco levandogli il fiato. I piedini morbidi e le sue manine sulla faccia, i suoi primi sorrisi e suoi baci appiccicosi di zucchero e di miele di cui era goloso. La sua piccola mano poggiata sul seno pieno di Anna Lucia che lo allattava e i suoi occhi duri di rabbia a vent'anni.
Ma ora tornava, il Figlio, e Lui non ci credeva quasi, tornava! La pianta era verde e tornava alle radici.
Il vecchio avanzava con passo deciso sulla strada che sale verso il cimitero e di lì alla Chiesa di S. Rocco scrutando ogni curva, scostando ogni rovo e ogni cespuglio che occultava la vista con il cuore in tumulto.
Scendeva la strada lo sguardo duro di rabbia, una valigia nella mano destra e nell'incavo del braccio sinistro un fagotto; dietro di Lui, con passo danzante ed un sorriso d'avorio, una giovane donna bruna con una tracolla di lino e una borsa.
Michele si fermò a guardare il figlio, i suoi riccioli biondi e i suoi occhi azzurri, timidi che, appena lo ebbero inquadrato, brillarono e poi, d'incanto, un sorriso di felicità.
Due sguardi di amore e dolore si fusero in un sorriso dolente e poi, con un gesto da mago di fiera, Faieluccio sciolse il fagotto e sorridendo sollevò un bimbetto nudo e scalciante gridando “Papà, guardate chi c'è” il piccolo sorrise e strinse le dita del padre nella sua manina.
Nell'incavo del Nonno il fagotto guardava il vecchio Michele e le sue mani curiose tiravano le folte sopracciglia mentre due rivoli d'argento scendevano dalle antiche finestre.
Uno sguardo d'amore e il vecchio Michele volò; attraverso le iridi azzurre del nipotino  sulla sua terra e sulla campagna, volò sulla vigna e sul piccolo orto dietro la casa, sul cimitero e sulla tomba di Anna Lucia, la sua donna dagli occhi d'oliva e dal viso color melagrana.
La vide in cucina, sudata, con il figlio avvolto in una piega del grembiule che, ogni tanto, sollevava per dargli il latte al suo seno, rivide i suoi occhi angosciati una serie d'autunno quando, mentre moriva, pensava al marito rimasto da solo.
Al mattino la casa silenziosa era immersa in un bianco di nebbia e il silenzio, interrotto a momenti dal fruscio del vento nelle canne, era come una sospensione della vita.
Michele, guardava il viso tranquillo del figlio addormentato e della moglie, serena al suo fianco. Il piccolo nipote, con gli occhi sgranati di sorpresa, guardava affascinato il primo raggio di sole che, a fatica, insinuandosi tra volute di nebbia, era approdato alla finestra. Il suo sorriso specchiato negli occhi del Nonno.

Il sole saliva piano dalla valle del Basento verso il vecchio castello diroccato e mezzo nascosto e il campanile sembrava affannarsi sopra al tetto delle case per cercare il primo sole. I primi carretti si avviavano, piano, verso la piazza del mercato.

(Questo racconto non è pubblicato in "Ipnotiche Oscillazioni")


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